22 febbraio 2021
Con questa riflessione
si vogliono analizzare le previsioni contenute nell’art. 1 comma 136 e ss. della
Legge n. 124/2017 che dettano la disciplina della risoluzione anticipata del
contratto di locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore e dei
conseguenti effetti nei rapporti anche economici tra le parti.
Prima dell’entrata in
vigore della Legge 4 agosto 2017,
n. 124 (“Legge annuale per
il mercato e la concorrenza”, in Gazzetta Ufficiale 14 agosto 2017, n. 189),
avvenuta in data 29 agosto 2017, il contratto di leasing finanziario (o di
locazione finanziaria) veniva considerato un contratto atipico o innominato,
cioè un contratto non appartenente ad alcuno dei tipi espressamente regolati
dal nostro ordinamento.
Con tale Legge n.
124/2017 all’art 1 comma 136 viene quindi introdotta un’unica definizione di contratto di locazione finanziaria: “Per locazione finanziaria si intende il
contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto
nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo
1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene
su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i
rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo
verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione
e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del
bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del
diritto, l’obbligo di restituirlo”.
Con tale comma è stata introdotta
un’unica definizione di contratto di
locazione finanziaria, inquadrato quale contratto di durata, che risolve la
distinzione avanzata dalla giurisprudenza riguardo il leasing di godimento e il leasing traslativo. Infatti è
questa la novità più rilevante della L. n. 124 del 2017, che dovrebbe porre
fine alla discussione sull’applicabilità o meno dell’art. 1526 cod.
civ. in caso di risoluzione del contratto di locazione finanziaria.
In ragione delle
caratteristiche delle due operazioni sopra delineate e al fine di evitare un
ingiustificato arricchimento del concedente in caso di risoluzione per
inadempimento dell’utilizzatore, la giurisprudenza ha ritenuto che:
·
nel primo caso debba applicarsi in via
analogica l’art. 1458, comma 1, seconda parte, c.c. (che prevede, per i
contratti ad esecuzione continuata e periodica, l’irretroattività della
risoluzione fra le parti), e pertanto l’utilizzatore non avrà diritto alla
restituzione dei canoni pagati durante la vigenza del contratto;
·
nel secondo caso debba invece applicarsi
per analogia il disposto di cui all’art. 1526 c.c. in tema di vendita con
riserva della proprietà e pertanto il concedente dovrà restituire i canoni
percepiti durante l’esecuzione del contratto ma avrà diritto a un equo compenso
per l’uso della cosa da parte dell’utilizzatore, oltre al risarcimento del
danno (con possibilità per il giudice di ridurre l’eventuale indennità che sia
stata predeterminata in sede di contratto).
I successivi commi 137,
138, 139 e 140 dell’art. 1 Legge n. 124/2017 disciplinano invece gli aspetti
della risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore al
pagamento dei canoni e la procedura di ricollocazione sul mercato del bene
oggetto del contratto risolto da parte del concedente, coordinando infine la
disciplina generale contenuta in queste previsioni normative con altri
interventi settoriali attuati in precedenza in relazione a particolari ipotesi
(art. 72 quater L.F. in ambito fallimentare e art. 1, commi 76-81 della Legge
208/2015 in ambito di leasing immobiliare abitativo).
Si vuole, in questa
sede, prestare particolare attenzione all’art. 1 comma 138 della suddetta
legge: “In caso di risoluzione del
contratto per l'inadempimento dell'utilizzatore ai sensi del comma 137, il concedente ha diritto alla
restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto
ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori
di mercato, dedotte la somma pari all'ammontare dei canoni scaduti e non
pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea
capitale, e del prezzo pattuito
per l'esercizio dell'opzione finale di acquisto, nonché le spese
anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il
tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di
credito del concedente nei confronti dell'utilizzatore quando il valore
realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore
all'ammontare dell'importo dovuto dall'utilizzatore a norma del periodo
precedente”.
Tale norma esclude quindi l’applicabilità dell’art. 1458 cod. civ. e dell’art. 1526 cod.
civ.
Di conseguenza:
1.
per i
contratti risolti prima della dichiarazione di fallimento, troverà applicazione
la disciplina prevista dalla L. n. 124 del 2017;
2.
per i
contratti pendenti al momento del fallimento e sciolti per decisione del
curatore, troverà applicazione l'art. 72 quater L.F.
Come suesposto dal
comma 138 art. 1 L. 124/2017 in caso di inadempimento dell’utilizzatore ai
sensi del comma 137, il concedente, solitamente una banca o altro soggetto
autorizzato a svolgere attività di intermediario finanziario, una volta riottenuto
il bene oggetto del contratto di locazione finanziaria da parte
dell’utilizzatore può procedere alla vendita dello stesso corrispondendo
all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita. A tale importo però va dedotta la
somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della
risoluzione, i canoni a scadere solo in linea capitale e cosa davvero assurda
il prezzo pattuito per l'esercizio dell’opzione finale di acquisto.
Analizzando il suddetto
comma si evince che una volta risolto il contratto per inadempimento dell’utilizzatore,
questo è obbligato a restituire al concedente:
1. la
somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della
risoluzione;
2. i
canoni a scadere solo in linea capitale;
3.
il
prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto.
Se l’opzione d’acquisto
finale è un’opzione perché l’utilizzatore inadempiente deve restituire anche questa
somma?
L’art. 1331 comma 1 c.c.
statuisce che “Quando le parti convengono
che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la
dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli
effetti previsti dall’art. 1329 c.c.”.
Letto questo articolo è
facilmente intuibile che il comma 138 dell’art. 1 Legge 124/2017 è illegittimo
in quanto in palese contraddizione con l’art. 1331 del Codice civile.
La risoluzione per
inadempimento dell’utilizzatore appena esposta comporterebbe così una lesione
della natura di opzione e una violazione di quanto pattuito tra le parti,
infatti, tale circostanza trasformerebbe il diritto di opzione (facoltà) in una
prestazione obbligatoria (obbligo), cosa che l’ordinamento non può tollerare.
Si rileva inoltre una
più grave violazione, quella costituzionale.
L’art. 3 sancisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”.
Questo articolo
riconosce quindi a tutti i cittadini parità di trattamento.
L’art. 1 comma 138 L.
124/2017 nella parte in cui riconosce all’utilizzatore inadempiente l’obbligo
di restituire anche il “prezzo pattuito per l'esercizio
dell'opzione finale di acquisto” determina una diversità di
trattamento in violazione dell’art. 3 della Costituzione. La distinzione sta
proprio nella conseguenza dell’inadempimento. In un normale contratto, nel caso
in cui le parti abbiano pattuito un’opzione, in seguito all’inadempimento di
una di esse, tale facoltà (diritto di opzione) resta una facoltà mentre nel
caso di specie qui esaminato, l’art. 1 comma 138 della L. 124/2017
disciplinando la patologia derivante dall’inadempimento del solo utilizzatore
trasforma la facoltà (diritto di opzione) in una obbligazione.
Alla luce di tale
analisi si ritiene quindi il comma 138 dell’art. 1 L. 124/2017 incostituzionale
nella parte in cui inserisce “il
prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto” tra le
voci che compongono il debito residuo che l’utilizzatore deve restituire al
concedente una volta venduto il bene oggetto del contratto.
Si conclude ritenendo quindi
che a seguito della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, questo non
deve restituire la somma per l’opzione di acquisto finale in quanto facoltà che
non ha ancora accettato.